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Le importazioni provenienti da Russia e Ucraina non raggiungono il 4% del valore complessivamente importato a livello nazionale e le esportazioni verso questi due paesi non superano il 2% del totale. Dall’analisi dei dati sugli scambi commerciali dell’Italia con Russia e Ucraina realizzata dagli esperti dell’Osservatorio Economico Agroalimentare di Veneto Agricoltura è possibile affermare che l’allarmismo delle ultime settimana non sembra essere del tutto motivato.
Ad incidere particolarmente sulle importazioni contribuiscono soprattutto combustibili e oli minerali (quindi petrolio e gas), la cui incidenza delle provenienze da Russia e Ucraina raggiunge una quota relativa del 17,8% del valore totale importato della categoria; seguono ghisa, ferro e acciaio (13,6%), minerali e metalli preziosi (8%). Da sottolineare anche la quota di import di concimi, che nel complesso tra Russia e Ucraina raggiunge il 12% del totale della categoria, con un incremento del 50% nel 2021 rispetto al 2020.
L’incidenza dell’import-export agroalimentare è ancora meno consistente e non supera il 2% del totale sia delle importazioni (dove prevalgono quelle provenienti dall’Ucraina) che delle esportazioni, dove invece prevale la destinazione russa. Assumono una certa rilevanza le importazioni di grassi e oli animali o vegetali, di cereali e di semi oleosi dall’Ucraina e di residui e cascami dell’industria alimentare (essenzialmente prodotti per l’alimentazione degli animali) dalla Russia. Nel dettaglio, presentano delle quote a due cifre le importazioni di mais e di sorgo, che provengono rispettivamente per il 12,9% e il 23% dall’Ucraina e di semi di lino, di cui l’Italia importa il 48% del totale dalla Russia.
Per quanto riguarda la regione Veneto, le importazioni agroalimentari provenienti da Russia e Ucraina costituiscono appena una quota dello 0,3% del valore totale importato nel 2020. Tuttavia, per alcuni prodotti, la quota delle importazioni provenienti da questi due paesi raggiunge livelli considerevoli: è il caso dei semi di lino, di cui il Veneto importa una quota del 58% del totale dalla Russia, del sorgo, le cui importazioni del Veneto dall’Ucraina raggiungono una quota del 25,4% e dei semi di girasole, di cui la nostra regione importa una quota dell’8,3% dall’Ucraina.
Se dunque, sia per l’Italia che per il Veneto il conflitto non dovrebbe avere delle grosse ripercussioni per gli scambi commerciali di prodotti agroalimentari, né per la mancanza di prodotto in entrata, né per le destinazioni di quello in uscita, ben superiori potrebbero essere le conseguenze in termini di prezzi.
Infatti, sebbene gli scambi con l’Italia di prodotti agroalimentari non siano così consistenti, le esportazioni russe e ucraine sono molto rilevanti a livello mondiale, in particolare per quanto riguarda il frumento, il mais e il girasole, senza ovviamente considerare altre tipologie di prodotti e materie prime (petrolio, gas, metalli e minerali preziosi, fertilizzanti, concimi…).
Le tensioni sui mercati internazionali delle principali commodities agricole si stanno già facendo sentire anche a livello nazionale, con un incremento dei listini e di conseguenza un aumento dei costi di approvvigionamento, sia che questi avvengano con prodotto interno, sia con quello proveniente da altri stati esteri.
Da inizio anno i prezzi quotati alla borsa merci di Bologna del mais sono già aumentati del +40%, con un’impennata a partire da fine febbraio; quelli del frumento tenero sono aumentati del +24%, il sorgo del +24,6% e la soia del +17%. Incrementi che si sommano a quelli già registrati nel 2021, che appesantiranno ulteriormente i costi di produzione soprattutto gli allevamenti zootecnici da latte e da carne, mentre l’incremento dei costi energetici sta già colpendo soprattutto le produzioni in serra, quindi quelle orticole e florovivaistiche.
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