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Un’analisi di Veneto Agricoltura si sofferma sui rischi per l’export del vino derivanti dall’uscita della Gran Bretagna dall’UE e dai ventilati nuovi dazi USA. Russia primo acquirente di Prosecco.
All’estero il vino italiano piace, tanto, e sempre di più. Piace molto anche quello veneto. Lo confermano i numeri: a livello nazionale l’export di vino nell’ultimo anno vale quasi 6 miliardi di euro, mentre il Veneto da solo vale ben 2,12 miliardi (+6,4% rispetto al 2016). Cifre da capogiro, soprattutto se si considera che il Veneto esporta vino per una quota pari al 35,5% del totale italiano e all’8% di quello mondiale, risultando di fatto la quarta potenza mondiale.
Come risulta dall’analisi di Veneto Agricoltura, il fatto che siano Gran Bretagna e Stati Uniti i maggiori acquirenti di vino italiano potrebbe però rappresentare un’arma a doppio taglio per il nostro export, visto che i primi sono in piena fase “Brexit”, mentre negli States aleggiano venti di “neoprotezionismo”. Nel Regno Unito, durante il periodo di transizione pre-Brexit, vale a dire fino al 31 dicembre 2020, i prodotti sia in ingresso che in uscita continueranno a viaggiare senza dazi e senza restrizioni quantitative, con le medesime regole in materia di documento di trasporto ed etichettatura. Inoltre, gli standard previsti dall’Unione Europea in materia di elaborazione dei vini (standard, definizioni, pratiche enologiche, ecc.) continueranno ad essere riconosciuti, così come i nomi delle Dop/Igp e i marchi commerciali.
Ma dal 2021 cosa accadrà? Per evitare sorprese dell’ultimo minuto, gli operatori italiani del settore si stanno già attivando promuovendo, tramite l’Unione Italiana Vini, un dialogo con le istituzioni europee al fine di assicurare che la Brexit non penalizzi oltremodo il settore vitivinicolo. Allo stesso tempo, anche la principale associazione dei traders UK sta studiando un “piano d’emergenza” incentrato su una serie di punti che presumono uno scenario di hard Brexit. Si calcola che l’introduzione dei dazi doganali in Gran Bretagna potrebbe prevedere un costo di 32 €/hl per i vini frizzanti e di 13-15 €/hl per i vini fermi, con un rincaro per bottiglia pari a 24 penny per i primi e di 10 penny per i secondi.
Altre preoccupazioni per i nostri viticoltori arrivano dagli Stati Uniti a causa delle azioni protezionistiche ventilate dall’amministrazione Trump. I dazi in ingresso verso gli USA di acciaio e alluminio sono un chiaro viatico di come potrebbe esserne interessato anche l’agroalimentare, con il vino seriamente destinato a farne parte. Tra i più penalizzati ci sarebbe il Veneto, visto che negli Stati Uniti si esporta un quarto del vino regionale, in tutte le sue diverse tipologie e denominazioni, per complessivi 1,4 miliardi di euro. In questo caso ci si troverebbe a pagare la mancata diversificazione delle destinazioni finali. Vini bianchi e Prosecco, non solo sono i prodotti più esposti su UK e USA, ma sono anche quelli che tengono insieme economie territoriali in maniera quasi vitale, oltre a rappresentare un pezzo di Italia vitivinicola nel mondo. Trovare alternative a tutto questo non è così semplice, ma forse è tempo di incominciare a lavorare in vista di questo obiettivo.
Basti pensare che il Prosecco ha visto schizzare il suo fatturato (+59,6% rispetto al 2016), confermandosi la punta di diamante italiana nel campo delle bollicine. Lo scorso anno, addirittura, il valore totale dello spumante nazionale esportato ha superato per la prima volta quello dei vini bianchi, tanto da attestarsi oggi a circa un quarto del fatturato globale dei vini in bottiglia. Il Prosecco da solo rappresenta il 60% del totale degli spumanti, raggiungendo gli 806 milioni di euro e oltre 2,1 milioni di ettolitri, con il Regno Unito primo mercato estero d’arrivo (40% sul totale in valore e 44% in volume), seguito a debita distanza da Stati Uniti (22%) e Germania (5%). Mentre l’incremento maggiore per l’acquisto di Prosecco DOP va ad appannaggio della Russia (+40,8).