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Il progetto “Riducareflui” di Regione e Veneto Agricoltura, offre nuovi orizzonti per le aziende zootecniche. A Tezze s/B l’Assessore Regionale all’Ambiente Conte alla presentazione del progetto di Veneto Agricoltura. L’AU di Veneto Agricoltura Pizzolato: ecco i dati della redditività di questi mini impianti per la produzione di biogas ed energia..
Il Veneto primo tra le regioni italiane come produttore di uva e vino. Il Veneto capofila nella produzione di carne bovina. Ma anche all’avanguardia nello studio e nella sperimentazione sul migliore impiego delle deiezioni animali derivanti dagli allevamenti intensivi. Un fronte che guarda al futuro e nel quale la Regione e Veneto Agricoltura si stanno impegnando, con un progetto, RiduCaReflui, ideato per ridurre il carico inquinante generato dai reflui zootecnici nell’area del Bacino Scolante della Laguna veneta.
Un progetto importante, presentato oggi ad un centinaio di persone a Tezze sul Brenta (VI), presso il Park Hotel Italia, e poi con una visita alla vicina azienda Agricola Agrifloor alla presenza, tra gli altri, dell’Assessore Regionale all’Ambiente Maurizio Conte e dell’Amministratore Unico di Veneto Agricoltura Paolo Pizzolato.
“Credo che la Regione e Veneto Agricoltura – ha affermato Maurizio Conte – stiano divulgando col progetto RiduCaReflui un sistema funzionale per la riduzione del carico inquinante derivante dallo smaltimento dei reflui zootecnici abbinando allo stesso la possibilità di produrre energia da fonti rinnovabili e di garantire alle aziende fonti di reddito alternative”. “Questa è una pagina importante – ha affermato invece Paolo Pizzolato – per dimostrare una volta di più come il Veneto sia impegnato a coniugare salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile per le nostre aziende agricole cercando di accrescerne i fattori di competitività nel mercato globale. Ciò che si è potuto vedere qui – ha continuato Pizzolato – è un sistema di conduzione di un’azienda zootecnica in grado di salvaguardare, l’interesse economico dell’imprenditore e mirato allo sviluppo di energia alternativa derivante da combustibili non fossili (biogas da deiezioni), con la salvaguardia ambientale. Il tutto con un più agevole e meno costoso rispetto della cosiddetta Direttiva Nitrati (676/91/CE), emanata dalla UE per regolamentare lo spargimento dei reflui zootecnici nei terreni agricoli (max 170 chili di dose di azoto spandibile per ettaro) quale limite, al fine di ridurre l’inquinamento da nitrati nelle acque superficiali e profonde”.
In particolare l’azienda Agrifloor di Martino Cerantola, responsabile mandamentale della Coldiretti, è un esempio di circuito completo per la migliore valorizzazione agronomica delle deiezioni. Non si tratta di ipotesi, ma realtà: 160 capi di bovine da latte le cui deiezioni, attraverso un processo di ossidazione in apposite vasche di stoccaggio in ambiente anaerobico (senza ossigeno), e in condizioni “mesofile” (37 gradi centigradi), sviluppano un quantitativo di biogas in grado alimentare un motore che sviluppa energia elettrica pari a 50 KW/h (kilowatt/ora) che vengono poi immesse nella rete elettrica pubblica. Non solo. Il calore originato dal generatore viene utilizzato per riscaldare le vasche (mantenere i 37°), le serre aziendali, destinate ad attività florovivaistica, e le abitazioni limitrofe. Facciamo due conti. Con 50 Kw/h un impianto simile è in grado di produrre 420 mila Kw all’anno circa. Considerando che il 5% del totale di energia elettrica viene utilizzato per autoconsumo dell’impianto e che ad oggi un Kw viene pagato 0,29 euro, né deriva che questo impianto produce ricavi pari a circa 100mila euro all’anno. Si trattasse di allevamento di bovini da carne, le stesse dimensioni, verrebbero replicate con 500 capi circa. “L’impianto – afferma Cerantola – mi è costato quattrocentomila euro circa e verrà ammortizzato in sei anni”. Ma cosa succede del digestato, cioè di quello che resta delle deiezioni stoccate in vasca? Esso viene spremuto dividendo la parte solida da quella liquida. E quella liquida, molto più carica di azoto, viene sparsa su due ettari di cosiddetta AFI (Area Forestale di Infiltrazione) dove arrivano scoline d’acqua e dove gli impianti arborei presenti garantiscono l’assorbimento dell’azoto (una sorta di area di fitodepurazione). La parte solida del digestato invece, con minore azoto rispetto alla deiezione di partenza, può essere sparsa nei campi nel rispetto della “Direttiva Nitrati”, e minori spese.
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