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Nove dottorandi che guardano al futuro con ricerche che spaziano dalla “qualità e caratteristiche nutrizionali dei prodotti ottenuti da allevamento biologico di bovini in area montana”, al sequestro del carbonio, alla “conversione in bioetanolo dei residui agricoli”, per fare qualche esempio. Un incontro, quello di presentazione delle borse di studio finanziate da Veneto Agricoltura, tenutosi martedì scorso per la prima volta, che verrà ripetuto con cadenza annuale. E’ bene sapere infatti che l’Azienda regionale destina oltre centocinquantamila euro all’anno in questa iniziativa.
Tre le scuole di Dottorato coinvolte: Scienze animali e Scienze veterinarie, Scienze delle produzioni vegetali e Territorio, ambiente, risorse e salute.
“Credo che il rapporto con l’università – ha sostenuto Paolo Pizzolato, Amministratore Unico di Veneto Agricoltura – debba essere riscoperto e rilanciato per puntare al futuro del settore primario in maniera fattiva. C’è la necessità di sviluppare tutte le sinergie utili ad incrementare la competitività del nostro comparto agricolo nei mercati europei e mondiali”. Dopo i saluti del Prof. Giancarlo Dalla Fontana, Preside della facoltà di Agraria e del dott. Giustino Mezzalira, Direttore della Sezione Ricerca e Sperimentazione di Veneto Agricoltura che ha coordinato la giornata, è stata la volta dei dottorandi: Silvia Miotello, Enrico Zanetti, Silvia Zanutto, Gianluca Simonetti, Lorenzo Favaro, Claudia Alzetta, Daniela Bondesan, Chiara Canesin e Flavia Tromboni.
In particolare Lorenzo Favaro, considerato il bioetanolo una delle alternative più importanti ai carburanti fossili, e la disponibilità limitata di materie prime (colture cerealicole e zucchero da canna) impiegate anche per il settore zootecnico e la nutrizione umana, ha analizzato le prospettive di produzione del combustibile partendo dalla biomassa lignocellulosica, circa il novanta per cento della produzione globale della biomassa vegetale, substrato più economico e largamente disponibile. Si tratta infatti per lo più di residui silvocolturali, sottoprodotti di origine agricola e scarti agro-industriali. Il progetto di Favaro ha permesso di avviare un programma di selezione e miglioramento genetico di ceppi microbici al fine di sviluppare un microrganismo adatto, secondo il modello di produzione CBP (Consolidated BioProcessing), di bioetanolo da biomassa. Da sottolineare il sistema sviluppato per la conversione in etanolo di crusca da grano, scelto come modello di residuo agro-industriale a basso costo. “Le rese in etanolo – sostiene Favaro – sono promettenti”. Curiosa la ricerca di Silvia Miotello sulle “qualità e caratteristiche nutrizionali dei prodotti ottenuti da allevamento biologico di bovini in alta montagna”. Latte, formaggi e carne di bovini provenienti da allevamenti biologici e convenzionali analizzati per le caratteristiche chimiche, tecnologiche e nutrizionali. Sul latte, al di là della similitudine nella composizione chimica, da rilevare il profilo acido del grasso più favorevole da un punto di vista nutrizionale in quello proveniente da allevamenti biologici. Lo stesso dicasi per il profilo acidico dei formaggi. Nessuna sostanziale differenza tra questi da un punto di vista del gusto. Interessanti le conclusioni sulla carne di vitello. Quella ottenuta con metodo biologico è risultata più magra, rossa e con un più basso contenuto di colesterolo rispetto alla carne di vitello convenzionale. Il quantitativo di ferro eminico nella carne biologica è risultato quasi il doppio rispetto alla carne convenzionale. Significativo anche il lavoro di Enrico Zanetti sugli aspetti che contribuiscono alla conservazione ed alla differenziazione di sei razze locali italiane di pollo e per lo studio dei prodotti che da esse derivano per un loro diverso sfruttamento commerciale. Gli esemplari sono stati scelti a caso alla schiusa, allevati assieme nelle stesse condizioni e macellati a 190 giorni di età.
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